E’ prematuramente scomparso Angelo Davoli, stimato artista reggiano, Socio Onorario dei Club Reggio Emilia e Reggio Emilia Terra di Matilde, Paul Harris Fellow e Benefattore della Rotary Foundation, consorte della Co-Segretaria Distrettuale Cristina Bolognesi, a cui vanno l’affetto e l’amicizia del Governatore, della Squadra e della Segreteria del Distretto 2072.
“Da ieri 6 settembre L’artista Angelo Davoli non è più tra noi: si è trasformato in luce ed ha iniziato il suo cammino verso i suoi cieli azzurri, quei cieli che per anni ha dipinto con grande maestria”
Così dichiara Cristina Bolognesi assistente e moglie di Angelo Davoli che ha affiancato con dedizione il compagno di vita in questi sedici mesi di malattia che l’artista ha combattuto con tenacia e dignità.
“se ne andato solo il suo corpo, ma non la sua grande anima che rimarrà dentro di me per tutta la vita”
Persona di raffinata intelligenza, di grandi qualità umane e artistiche Angelo Davoli è nato a Reggio Emilia il 7 settembre 1960
La camera ardente sarà allestita lunedì 8 settembre alla Fondazione Nazionale della Danza, sede di Aterballetto, via della Costituzione, 39 – Reggio Emilia dalle ore 10.00 alle ore 19.00. Nella stessa sede alle ore 17.00 verrà dato l’ultimo saluto.
La tumulazione avverrà in forma privata.
Così lo ricorda Massimo Mussini, Ordinario di Storia dell’Arte Moderna all’Università di Parma
ANGELO DAVOLI: UNO SGUARDO ENIGMATICO
La pittura di Angelo Davoli mi ha sempre intrigato, perché vi ho colto un sottile legame con le fotografie di Luigi Ghirri. Non credo che i due si conoscessero, visto che agli esordi artistici di Davoli, Ghirri era ormai scomparso. Neppure avrebbe senso pensare a una dipendenza figurativa dell’uno dall’altro, perché i riferimenti concettuali di Davoli vanno ricercati in un’altra direzione, nelle fotografie di Hilla e Bernhard Becher, ad esempio.
Mi trovo oggi a riflettere per la prima volta su questo collegamento rimasto da anni a livello intuitivo e mai analizzato e credo che la risposta possa trovarsi nella sintonia di atteggiamento nei confronti della cultura contemporanea e nell’interesse di entrambi per la pittura fiamminga. Alle radici di tale attenzione c’è per Ghirri la lettura del bel libro di Svetlana Alpers sui rapporti fra scienza e pittura nell’arte seicentesca dei Paesi Bassi e non escluderei che anche Davoli lo abbia conosciuto. Per entrambi, comunque, c’è la comprensione del naturalismo ottico fiammingo come strumento di analisi della realtà.
Davoli, dunque, nel suo minuzioso descrittivismo degli esordi, non si limita a riprendere tale stile figurativo sulla scia delle contemporanee correnti del Citazionismo, ma adotta piuttosto un’idea, opera sul valore da riassegnare allo sguardo nel processo di conoscenza della realtà e per la formazione della propria personalità.
Per comprendere questa sua scelta dobbiamo ricordare che gli ultimi decenni del secolo scorso hanno dato avvio a un esponenziale consumo dell’immagine, ormai recepita in modo del tutto acritico, tanto che negli intellettuali più avvertiti, come negli artisti più sensibili, è nata contestualmente la necessità di reagire al fenomeno.
Ecco allora Angelo Davoli intento a dipingere opere in cui i paesaggi, raffigurati con una pennellata accuratamente descrittiva, pongono davanti agli occhi vedute, che apparentemente si omologano al “catalogo” delle architetture industriali dei coniugi Becher, ma in realtà ne rovesciano la funzione concettuale. Con l’aiuto del colore e della raffigurazione accattivante, egli intende piuttosto sottolineare l’antinomia sorta nella civiltà industriale fra natura e cultura, fra tempo umano e tempo naturale. Il tempo della natura, infatti, non si misura sulla durata dell’uomo ma la oltrepassa, mentre il tempo dei manufatti industriali ne è di molto più breve.
A questa prima segnalazione di come lo sguardo non serva a fornire soltanto informazioni ottiche da consumare all’istante ma consenta l’avvio di un approfondimento concettuale, nel corso degli anni si affianca un lavorio più approfondito, indirizzato a giustificare la funzione creativa e didascalica dell’arte nella cultura contemporanea. A Davoli, infatti, importa comunicare l’idea che all’effimera cultura dell’usa e getta, l’arte può contrapporre nuovamente il valore della durata, perché l’opera è eseguita per rimanere nel tempo e conservare la testimonianza della mente che l’ha creata. Essa trasmette inoltre ai posteri un doppio messaggio: il primo è costituito dai suoi significati, necessariamente collegati al momento culturale in cui è stata realizzata e il secondo si esplicita nella capacità di rinnovare tali significati adeguandosi al trascorrere del tempo. È a tutti noto, infatti, che noi tendiamo a utilizzare modelli interpretativi contemporanei nella lettura delle opere d’arte del passato.
Il Concettualismo che ha innervato l’arte d’avanguardia dell’ultimo quarto del Novecento è l’altro aspetto fondante della pittura di Angelo Davoli, che ha perfettamente compreso come il compito odierno dell’arte non sia più di replicare la realtà fenomenica, ma di sostituirla con la funzione allegorica dell’immagine, la quale non significa più direttamente ciò che mostra, ma cela un senso diverso e non immediatamente comprensibile. Questa qualità enigmatica ha consentito a Davoli di creare anche scenografie teatrali senza allontanarsi dalla sua tradizione figurativa, perché gli squarci di paesaggio industriale, ora vasti e ora ravvicinati sotto forma di dettagli architettonici, erano perfettamente in grado di simboleggiare la condizione dell’uomo odierno.
Una pittura apparentemente facile, quella di Angelo Davoli, se ci si sofferma soltanto a uno sguardo esteriore, distratto e superficiale; se al contrario accettiamo la sfida che ci lancia ed entriamo nel gioco dei rimandi simbolici, chiedendoci cosa realmente dipinge e le ragioni delle sue scelte, possiamo scoprire anche la sua profondità concettuale accanto all’indubbia abilità pittorica e cogliere la capacità di utilizzare l’arte come stimolo per crescere intellettualmente.
Massimo Mussini