Il RC Bologna Sud ha invitato, ad una loro serata rotariana, alcuni studenti del nostro più antico Liceo, coinvolti dai rispettivi docenti in un progetto (Galvani per i Musei), che da quattro anni li vede protagonisti di un servizio benemerito, capace di legare la scuola al territorio.
Nato da una convenzione con la Sovrintendenza, il progetto ha quest’anno puntato i riflettori sul Teatro Romano di Via de’ Carbonesi e sulla Collezione Morandi ospitata presso il Mambo di Via Don Minzoni. Non si tratterà, hanno detto le due docenti, di una semplice illustrazione mnemonica, studiata a tavolino, in quanto ogni studente partecipa al service contribuendo con un proprio “taglio”, personalizzato in funzione delle singole specifiche capacità e propensioni.
Così hanno esordito le due docenti, Prof.sse Simonetta Monesi e Valeria Scota, prima di introdurci le relatrici, Giulia Rossi e Matilde De Lucca, in rappresentanza dei ben 30 giovani partecipi di questa esperienza.
Era un progetto, quello del Teatro Romano, che avrebbe dovuto vedere coinvolto in prima persona anche il Club, ma che una serie di sfortunate circostanze, non certo dipendenti dalla nostra volontà, ci ha impedito di realizzare. Pur tuttavia la collaborazione iniziata con Preside, Docenti e allievi del Galvani meritava di essere approfondita, da cui la scelta, giustissima, da parte della Pres. Pescerelli, di una serata che oltre a permettere di verificare l’ottima preparazione delle “guide”, ha posto le basi per possibili future collaborazioni con l’Istituto.
A questo punto, alternandosi tra loro, Giulia e Matilde hanno esposto la loro “spiegazione” del Teatro, la cui scoperta – hanno detto – riveste un’importanza fondamentale sia per la storia della città (che ha potuto recuperare il primo grande edificio pubblico identificato con certezza nonché il più antico teatro in muratura dell’architettura romana), che per la storia dell’architettura teatrale antica in generale.
Dopo un inquadramento di Bologna nella storia, abitata prima dagli etruschi (Felsina), poi dai Galli Boi infine divenuta colonia romana (Bononia) dopo la II guerra punica, la città assurge finalmente a Municipium, nell’88 a.C. con l’acquisizione da parte dei suoi cittadini dell’ambita qualifica di cives romani.
Felicemente collocata all’incrocio tra Via Emilia (Piacenza/Rimini) e Flaminia (Arezzo), la città gode allora del caratteristico sviluppo urbanistico romano, ortogonale (cardo e decumano) comprensivo ovviamente di tutti gli edifici di pubblico servizio competenti alla nuova qualifica: Foro (sotto all’attuale Palazzo D’Accursio), Tempio (prob. Sotto Via di Porta Castello), Basilica (sotto la Sala Borsa) e Terme (?), mentre si procede anche a vaste opere di bonifica, di cui la più grandiosa fu la deviazione del torrente Aposa.
Non poteva mancare il Teatro, la cui costruzione inizia intorno all’88 a.C. compreso in quel programma edilizio pubblico di munificenza civile legato alla celebrazione del passaggio del rango della città.
Il fatto che il Teatro romano di Bologna sia il primo in muratura di tutta l’architettura romana rappresenta un primato notevole, considerando che all’epoca, nella stessa Roma, le rappresentazioni teatrali avvenivano ancora su strutture in legno provvisorie, smontabili, così progettate per impedire
pericolosi assembramenti. Fino a quel momento gli unici teatri in muratura erano quelli ellenistici (Taormina, ad esempio) scavati però in un pendio collinare e non autoportanti come il nostro, divenuto poi prototipo di tutti i successivi, dal Colosseo all’Arena di Verona ecc.
I ruderi, fortuitamente scoperti negli anni ’80 del novecento, durante la ristrutturazione di un edificio, generalmente distrutti fino al livello delle fondazioni, erano in pessimo stato di conservazione; ciononostante il rilievo planimetrico dei tracciati murari permise di riconoscere i resti di un sistema di murature di sostegno a raggiera (sistema sostruttivo radiale-concentrico), chiaramente riferibile ad un settore di un emiciclo destinato ad accogliere gli spettatori (cavea) di un complesso teatrale romano.
La successiva proiezione geometrica dei muri curvilinei consentì di ricostruirne l’estensione originaria entro i limiti dell’isolato attualmente compreso tra le vie Carbonesi, D’Azeglio, Val d’Aposa, Spirito Santo e piazza dei Celestini.
E il ritrovamento, avvenuto ancora nel 1513 nella Piazza dei Celestini, del busto acefalo di Nerone, rivestito da una splendida armatura (oggi conservato all’ingresso del Museo Civico Archeologico) sta a dimostrare la grande estensione del monumento, purtroppo ancora quasi totalmente sepolto sotto all’Archivio di Stato. Era stato infatti proprio l’Imperatore Nerone a decidere l’ampliamento e l’abbellimento del monumento stesso, durante il I Secolo D.C., e la sua effigie era certamente lì collocata a futura memoria dell’evento.