Preciso, metodico, costante, lavoratore, meticolosamente concentrato sui dettagli: sono solo alcune delle qualitá indicate da Nicola Rizzoli per diventare arbitro. E lui se ne intende, parecchio, visto che il suo palmares é di assoluta eccellenza, costellato da quasi duecento partire dirette in serie A e, a livello internazionale, tantissimi incontri a cominciare dalla finalissima del recente campionato del mondo in Brasile, oltre a una finale di Champions e ad una di Europa League.
Della sua splendida esperienza Rizzoli (modenese di Mirandola, architetto) ha parlato l’altra sera nel corso di un affollato interclub che ha visto insieme i Rotary Ferrara e Ferrara Est e i Lions Diamanti ed Estense oltre al Circolo Unione che ha ospitato l’incontro brillantemente condotto da Alfredo Potena.
Molte e articolate le domande dell’uditorio, alle quali Rizzoli non si é sottratto anche nei casi…più spinosi. La presunta sudditanza degli arbitri? “Non so cosa sia. La libertá di decidere secondo coscienza é un valore troppo importante. In mancanza, restituirei subito la tessera”.
Anche sull’uso delle tecnologie l’arbitro campione del mondo e “migliore del mondo 2014” ha le idee molto chiare: “Sono d’accordo sugli strumenti che in modo inequivocabile stabiliscano la veritá (la palla dentro o fuori la riga di porta,ndr) ma non in altri casi: la moviola in campo, ad esempio, creerebbe solo problemi per via della sua gestione”.
Arbitro per caso (giocava, poi si infortunò e, in attesa, su consiglio di un amico frequentò un corso per arbitri imparando regole che non conosceva), si appassionò tanto da scalare, gradino dopo gradino, le varie categorie: “Occorre lavorare sodo ma se si ha passione i sacrifici pesano meno. E poi bisogna evitare scorciatoie”. Interessante il suo approccio alle partite: “Seguo una precisa preparazione atletica e mentale e mi informo su tutto quanto possibile: tattica delle squadre, comportamenti dei giocatori. Insomma, voglio e devo essere preparato. E poi è importante la collaborazione con gli assistenti in campo: ognuno svolge la sua parte, ben coordinati. Fatto tutto questo…ho fatto il possibile e non posso rimproverarmi nulla”.
Ma arbitrare é comunque difficile: “In Italia lo é molto, ha confessato: quando dirigo all’estero mi diverto di più. I comportamenti dei giocatori sono diversi, c’è più rispetto, non solo verso l’arbitro”.
E’ un’attività che rende abbastanza (3.800 euro lordi a partita oltre a un forfait di 40-80.000 euro e le spese) ma di certo molto meno dei più celebrati calciatori.
L’orgoglio italiano batte anche nel cuore del nostro arbitro emiliano, ben consapevole di rappresentare (con tutti i …pericoli del caso) il nostro Paese: “Anch’io ho sventolato il tricolore al termine della finalissima; l’avevo prenotato da una ragazza brasiliana”.
Alberto Lazzarini